Ecco una sintesi dell’intervento sull’audacia profetica di San Vincenzo presentata da padre Nicola Albanesi CM all’ Incontro Interprovinciale delle Figlie della Carità d’Italia fino ai 30 anni di Vocazione, che si è svolto a Roma dal 31 ottobre al 3 novembre 2013.
Tre punti chiave:
1 – l’amore ai poveri;
2 – la valorizzazione della donna;
3 – lo stile di vita: una struttura istituzionale “leggera”
1. L’amore ai poveri
Nell’amore ai poveri risiede tutta la profezia di S. Vincenzo de’ Paoli. E’ l’autentico tesoro che ci ha lasciato in eredità! Nell’epoca moderna, si è assistito al fenomeno della “rimozione della povertà”, all’interno delle nostre società (precisamente dal XV al XVIII secolo). E proprio quando il processo era in atto, S. Vincenzo ha avuto il coraggio di andare controcorrente e di mettere i poveri al centro, non solo della sua azione, ma della sua vita! Ha determinato un nuovo modo di vedere i poveri. Da questo punto di vista, ha sensibilizzato le persone, coinvolto le istituzioni, formato le coscienze.
Al tempo di S.Vincenzo, vi erano “religiosi” che vivevano la loro “consacrazione religiosa” nella maniera tradizionale allora conosciuta, alla maniera “religiosa” (con voti, pratiche, strutture religiose) che si dedicavano all’assistenza dei poveri.
S. Vincenzo rappresenta un punto nuovo di partenza. Dalle sue intuizioni nasce il “servizio dei poveri”, propriamente detto, in senso moderno. S. Vincenzo è la figura di riferimento, fonte di ispirazione perenne per le generazioni dopo di lui. Lavorare per i poveri, servirli per amarli come Cristo, “senza essere religiosi” è ciò che caratterizza una nuova forma di consacrazione.
La carità diventa via per l’esperienza di Dio. I poveri non sono più un fenomeno da cui fuggire, da condannare, da evitare, ma persone da amare.
Amando i poveri si ama Cristo. Servire i poveri è servire Cristo. Lavorare per i poveri, spendersi per loro, significa consumarsi per Dio. Da qui una nuova forma di vita cristiana.
«Servendo i Poveri, nostri signori e padroni, voi servite Gesù Cristo … Non temete di lasciare l’orazione per il servizio dei poveri, voi lasciate Dio per Dio! Lo lasciate nell’orazione e lo ritrovate nei poveri!».
Per mantenere vivo e ardente l’amore per i Poveri occorre coltivare la propria vita interiore.
2. La valorizzazione della donna
S. Vincenzo scoprì nelle donne risorse, energie e abilità da attivare, forze da valorizzare, anche e non solo all’interno della Chiesa. E l’ha fatto con una audacia ancora insuperata.
Nella società del suo tempo, che prospettava alle donne solamente la via del matrimonio o del monastero, S. Vincenzo ha avuto il coraggio di responsabilizzarle, di liberarle per il servizio dei poveri. Nella carità le ha riconosciute più sensibili e più lungimiranti degli uomini.
Tra le attitudini femminili che S. Vincenzo ha maggiormente valorizzato è stata senza dubbio la capacità delle donne di generare, custodire, proteggere, far crescere e promuovere la vita attorno a loro. Si tratta dunque di una “speciale maternità” che si manifesta, nel servizio, con la premura, la sollecitudine, l’assiduità, la dedizione e la cura dei gesti. Nell’educazione, si realizza come delicatezza, pazienza, gentilezza, finezza, creatività. E’ la capacità di mettere al centro dell’attenzione la persona con i suoi bisogni, con i suoi desideri e aspirazioni. La donna ha la capacità di far sentire speciale e unica una persona!
Per valorizzare ciò che siamo, occorre aver cura della propria persona e della propria umanità, in un processo di autoformazione continua.
3. Una struttura istituzionale “leggera”
All’inizio non ci fu nessuna regola, ma soltanto il servizio dei poveri. «Una suora andrà dieci volte al giorno a visitare i malati e dieci volte vi troverà Dio … Oh! che felicità! … Andate a vedere i forzati, vi troverete Dio … servite i bambini, troverete Dio. Egli accetta tutti i servizi che prestate ai malati e li considera come fatti a se stesso».
Tutta la spiritualità vincenziana si struttura su due fuochi: Cristo e i Poveri! Cristo ricercato in ogni cosa e amato sopra ogni cosa. I Poveri guardati in Cristo e amati come Cristo.
«Sorelle, siate dolci e caritatevoli, quando trattate con i poveri. Voi sapete che essi sono i nostri signori e maestri e che dobbiamo amarli con tenerezza e rispettarli … Trattateli con rispetto proprio come trattereste nostro Signore».
Il programma di vita è lasciarsi mettere, dallo Spirito, nello stato di Cristo, che è uno stato di amore permanente. I servizi, dai più piccoli e insignificanti ai più grandi e più nobili, diventano tutti espressione dell’amore di Dio, autentici canali di grazia che Dio usa per raggiungere chi fa più fatica ad aprirsi alla bellezza della vita per la condizione di povertà, di minorità, di esclusione in cui versa.
L’amore dà a Dio la possibilità di essere presente: «Se voi servite i poveri con bontà, dolcezza e rispetto, rendete la presenza di Dio tangibile. Fare quello che Dio ha fatto significa essere Dio stesso».
«Avranno per monastero le case degli infermi, per cella una camera di affitto, per cappella la chiesa parrocchiale, per chiostro le vie della città, per clausura l’obbedienza, per grata il timor di Dio, per velo la santa modestia».
Fare scelte conseguenti, significa “ridisegnare” il volto della Comunità. Significa tornare ad avere strutture “leggere”, vale a dire, duttili, flessibili, organizzate attorno alle esigenze del servizio.
Significa investire sul valore delle persone e non sulle opere. Significa tornare al Vangelo, al primato della carità. Significa far prevalere i criteri carismatici e non i criteri economici o di gestione. Allora torneremo ad avere qualcosa da dire oltre che al tanto da fare!
Ci vuole il coraggio e l’audacia dei fondatori per una programmazione comunitaria radicalmente nuova, incarnando il carisma con qualità, modellando le opere sulle persone!