Le Figlie di Carità del Ritiro di Montanaro
Le origini delle Figlie della Carità in Italia risalgono agli inizi del 18° secolo.
Angela, Francesca e Maddalena Re, tre giovani originarie di Cortanze (Asti), sotto la guida del parroco don Fraschini, dettero vita ad una piccola comunità con il titolo di “Terziarie di San Francesco”, che si dedicava ad assistere a domicilio gli infermi della parrocchia e ad educare le fanciulle.
Il Nunzio Apostolico, Monsignor Merlino, consapevole dello stato di bisogno del paese di Montanaro, in provincia di Torino, nel quale non esistevano né ospedali, né scuole, ottenne, nel 1744, che alcune Terziarie di Cortanze vi fossero trasferite. Sostenute dallo stesso Monsignor Merlino e dalle famiglie del paese, avevano un alloggio molto modesto, e dedicavano il loro tempo al servizio.
Nel 1758, don Fraschini, loro fondatore, rinunciò alla parrocchia di Cortanze e si trasferì a Montanaro, dove assunse l’ufficio di vice curato dell’arciprete don Furno, per poter meglio seguire la piccola Comunità. In seguito al suo trasferimento fu acquistata una casetta sulla via di San Grato, e così le Terziarie ebbero la loro prima sede. A quel tempo il Ritiro non aveva né riconoscimento giuridico né approvazione canonica; di fatto si trattava di una semplice istituzione parrocchiale.
Il Ritiro ricevette una nuova regola per volontà del nuovo Nunzio Apostolico, il cardinale Vittorio Amedeo delle Lanze – Abate di Fruttuaria, dal quale dipendeva Montanaro -, grande ammiratore di san Vincenzo Dé Paoli e benefattore della Casa della Missione di Torino. Egli pensò di far adottare alla piccola comunità la stessa regola delle Figlie della Carità di Parigi. Queste ultime avevano un programma di azione molto simile alle devote di Montanaro, ossia, visitare i poveri a domicilio, assistere i malati negli ospedali, educare le fanciulle del popolo, ma su scala molto più vasta.
Il Cardinale né parlò a padre Laugeri, Superiore della Casa della Missione di Torino e lo pregò di prendersi cura di «un’opera così santa». Le Regole delle Figlie della Carità furono chieste al Padre Generale Jacquier. Egli le concesse, nel 1779, stabilendo però che le suore italiane non dipendessero da lui, ma dall’Ordinario del luogo. Oltre alle regole assunsero anche il titolo, leggermente modificato da «Figlie della Carità» a «Figlie di Carità». Ne fu nominata Superiora Suor Rosalia Arduino. Quindi iniziarono le pratiche per il riconoscimento giuridico dell’istituto presso il sovrano, Vittorio Amedeo III, che rilasciò regolari patenti il 27 agosto 1779. Il Re confermava il titolo di «Figlie di Carità», ne approvava l’opera per «ammaestrare le fanciulle nella cristiana pietà, nel leggere, nello scrivere, e nei lavori convenienti al loro sesso, e specialmente ad impiegarsi nel servizio degli infermi».
A partire dall’anno successivo iniziarono le donazioni che permisero al Ritiro di ingrandirsi e trovare spazi più adeguati alle necessità delle suore; la regina Maria Clotilde fu la donatrice più illustre di quel periodo.
Fra il 1781 e il 1784, le suore sentirono il bisogno di una direzione unica, che realizzasse meglio, in loro, l’ideale delle Serve dei Poveri e chiesero che i Missionari Vincenziani si incaricassero totalmente della loro direzione. Durante il Superiorato di Domenico Siccardi le suore di Montanaro espressero il desiderio di essere incorporate alla Compagnia di Parigi, per assicurarsi maggiori favori spirituali, più compattezza e un avvenire più sicuro per la Comunità.
Padre Siccardi avviò le pratiche necessarie, poi fu nominato Assistente Generale delle Province Italiane e dovette trasferirsi a Parigi. Ebbe così la possibilità di seguire direttamente la pratica delle suore di Montanaro ed ottenere infine quanto da esse desiderato. La lettera di definitiva aggregazione scritta dalla Madre Generale Renée Dubois il 12 novembre 1788 e quella del Padre Generale Cayla de la Garde in data 20 novembre, giunsero a Torino il 19 dicembre a padre Bertoldi, Superiore della Casa della Missione che le inviò a Montanaro il giorno successivo, alla Superiora Suor Bertolotti. Da quel momento per le suore di Montanaro iniziarono i cambiamenti necessari per conformarsi alla Casa Madre; ricevettero da Parigi le circolari, i libri, le istruzioni sugli usi di Comunità, sulla pratica e sull’emissione annuale dei Voti, i registri in uso per gli archivi delle Suore e un quadro ad olio rappresentante santa Luisa di Marillac, fondatrice delle Figlie della Carità con san Vincenzo De’ Paoli, dal quale poterono desumere in maniera chiara quale veste indossare.
Il Padre Generale scrisse a Suor Bertolotti: “Il Sig. Siccardi, già vostro Superiore ed ora mio carissimo Assistente, mi espone la pia istanza che voi mi fate di aggregare la vostra Comunità al Corpo della Congregazione delle Figlie della Carità. Voi vi vestite allo stesso modo delle Figlie della Carità di Francia – come ci fate notare nella vostra lettera – voi professate le stesse Regole, voi praticate le stesse Opere di Carità. Sono ragioni codeste, carissima Figlia, che ci spingono ad associare al corpo delle Figlie dell Carità di Francia voi e tutte le suore della vostra Comunità, presenti e future, sicché d’ora in poi, non vi abbia che un sol corpo delle Figlie della Carità in Francia, in Polonia, in Prussia, in Russia, nell’Allemagna e in Piemonte…..”.
E la Madre Generale aggiunse: “Mia carissima Figlia… Potete contare che è con tutto il cuore che voi e tutte le vostre care Figlie, presenti e future, sarete per parte mia aggregate alla Compagnia delle Figlie della Carità”. Le “Figlie di Carità” ricevettero anche una copia delle Regole Comuni tradotta in italiano, una copia delle regole particolari dei diversi uffici, nonché il Catechismo sui Voti annuali, e la formula da pronunciarsi all’emissione.
Nel 1789 scoppiò la Rivoluzione in Francia, e negli anni successivi l’Europa intera si trovò coinvolta. Nel 1797 e nel 1802, in seguito alle due campagne napoleoniche in Italia, fu soppressa la Compagnia dei Missionari, ma il Missionario Benedetto Borsarelli continuò ad occuparsi del Ritiro.
Il 1° giugno 1803, con la soppressione dell’abbazia di Fruttuaria, Montanaro passa sotto la giurisdizione del Vescovo di Ivrea.
Il 18 luglio 1818, Monsignor Colombano Chiaverotti, Vescovo d’Ivrea, scrive alla Comunità di Montanaro: “… Con le presenti nostre lettere vi assicuriamo che il vostro monastero è sotto la dipendenza del Vescovo, che questi è il vostro legittimo superiore e che niun altro dovete riconoscere che dallo stesso Vescovo non ne abbia ricevuto missione…”.
La Congregazione dei Preti della Missione fu ripristinata in Piemonte nel 1824, e la giurisdizione sulle Figlie di Carità di Montanaro tornò a loro di diritto. Il 27 novembre 1835, nel Capitolo Generale, presieduto dalla Madre Marianna Druetti, la Comunità di Montanaro si svincola dai Preti della Missione e dalle Figlie della Carità per mettersi sotto la dipendenza del Vescovo della Diocesi e del Parroco di Montanaro, in fedeltà allo spirito primitivo del Ritiro posto in evidenza dalle Costituzioni: “Nate nella Parrocchia e per la Parrocchia, il fine specifico della Congregazione è l’azione apostolica e caritativa al servizio della chiesa locale”.
Riconosciute dalla Chiesa come “Figlie di Carità della Santissima Annunziata” hanno la Casa Madre a Montanaro e continuano a servire nei campi più diversi della povertà con uno spirito umile e semplice di carità evangelica.
Le Figlie di Carità del Ritiro di Rivarolo
All’inizio del XIX secolo sorse a Rivarolo Canavese, in provincia di Torino, una istituzione religiosa femminile simile a quella di Montanaro, che perseguiva gli stessi fini. La fondatrice si chiamava Antonia Verna, nata nella frazione Pasquaro, il 12 giugno 1773, da una famiglia di contadini. Di intelligenza precoce, dimostrò fin dalla fanciullezza spiccate doti di energia; scelta la vita religiosa, decise di dedicarsi all’istruzione ed educazione cristiana delle giovani della parrocchia, e all’assistenza degli infermi bisognosi nelle loro case. Il Vescovo d’Ivrea, Monsignor Grimaldi, la prende sotto la sua protezione.
Donna di profonda vita interiore e di carità generosa e attenta, Maria Antonia – già trentenne – non esiterà a riprendere la scuola, sostenendo ogni giorno la fatica del lungo tragitto a piedi da Rivarolo a San Giorgo, per meglio servire la sua missione di educatrice dei figli del popolo. Nel 1838 promuoverà, con la collaborazione del sindaco Maurizio Farina, la fondazione del primo Asilo Aportiano in Piemonte. Completata l’istruzione necessaria per adempiere alla missione che si era data presso alcune religiose, aprì una scuola per le bambine povere, il cui numero cresceva ogni giorno. Fu allora che ricevette l’aiuto provvidenziale di alcune giovani che sentivano il desiderio di condividere quella vocazione.
L’opera ricevette il sostegno del Comune fin dal 1806, ma per l’approvazione vescovile si dovette attendere fino al 1817, alla condizione, aggiunta dal vescovo, che si ammettesse anche la clausura.
Nel frattempo era stata preparata una bozza della Regola che stabiliva gli scopi dell’Istituto:
1. assistere poveri e infermi, di ambedue i sessi, affetti da qualunque malattia, anche pestilenziale;
2. insegnare a leggere e scrivere alle fanciulle povere ed istruirle nei doveri della religione;
3. tutto ciò gratuitamente senza domandare o ricevere retribuzione alcuna fuorché la spontanea elemosina;
4. quando vi fossero infermi non poveri che domandassero l’assistenza, avrebbero potuto in questo caso ricevere la ricompensa stabilita e impiegarla a beneficio dell’opera;
5. tenere aperta nel Ritiro una scuola per le fanciulle d’ogni condizione, anche non povere, ricevendone la retribuzione offerta.
In seguito alla chiusura di un monastero di Cuceglio e all’aggregazione delle monache al Ritiro di Rivarolo, la natura dell’Opera iniziò a trasformarsi.
Il 26 gennaio 1818, Monsignor Colombano Chiaverotti, nuovo Vescovo d’Ivrea, emise un decreto con il quale l’Istituto della Verna veniva convertito in un monastero con obbligo di perfetta clausura detto “delle Orsoline”. Per Antonia fu una prova durissima: aveva creato un’opera basata sull’azione, e non poteva ora accettare la clausura. Così uscì dalla comunità che ella stessa aveva fondato, e cinque compagne la seguirono. Nel 1821 le Orsoline si trasferirono nel Convento di San Francesco, e ad Antonia fu consigliato di riprendere le pratiche per il riconoscimento dell’Istituto. Ella prese contatti con Giuseppe Giordana, Prete della Missione di Torino, che trasmise al Ministero competente le carte necessarie.
Le pratiche si protrassero a lungo, ma infine, il 7 marzo 1828, re Carlo Felice inviò le Regie Patenti che costituivano il Ritiro come “una Compagnia di figlie che verranno denominate Figlie di Carità, impegnandosi al servizio dei poveri infermi e all’educazione delle fanciulle alla foggia delle Figlie istituite da san Vincenzo De’ Paoli”.
Padre Giordana fu considerato il “Fondatore” e ne fu apprezzatissimo Direttore fino all’improvvisa e santa morte, avvenuta all’inizio del settembre 1830 (era nato nel 1760). Suor Faustina Mattacheo disse di lui: “Il padre Giordana ci veniva tutti i mesi, ci confessava, ci faceva la conferenza e una volta l’anno il ritiro dei santi Esercizi. Si lavorava d’amore, d’accordo, e si viveva contente come regine”.
Il Cuore di san Vincenzo in Italia: 12 settembre 1792
In quel periodo era avvenuto un fatto molto significativo per quella che sarebbe poi diventata la Provincia vincenziana di Torino. Il Padre Cayla de la Garde, Superiore Generale, con Padre Siccardi, Assistente Generale, presero la via dell’esilio per non aderire al giuramento scismatico richiesto dai rivoluzionari francesi. Entrando in Italia per il Frejus, travestiti da mercanti, essi portarono con sé un prezioso reliquiario, per salvarlo dalla profanazione e dalla distruzione della Rivoluzione. Esso conteneva il cuore di San Vincenzo, nascosto in una cavità opportunamente creata in un grosso volume in folio, il tomo II° della “Vie des Saints” di Padre Giry.
Li accompagnarono quattro Figlie della Carità francesi, travestite da contadine, cacciate dalla loro casa d’Hermebont in Bretagna, inviate in Italia in vista di una possibile nuova fondazione. Esse aprirono una “Casa della Carità” per i poveri e ivi conservarono le venerate reliquie del Fondatore.
Purtroppo, quattro anni dopo, con l’arrivo delle armi francesi in Piemonte, le suore furono costrette a fuggire prima a Vienna, poi in Polonia e finalmente, nel 1801, rientrarono definitivamente a Parigi.
La fusione dei due Ritiri di Montanaro e di Rivarolo
In seguito al riconoscimento regio del nuovo Ritiro, iniziò una progressiva fusione dei due istituti di Montanaro e di Rivarolo.
Si trattò di una fusione di fatto, perché non vi fu mai un’aggregazione canonica. La fusione poté avvenire comunque perché le suore di entrambi i Ritiri condividevano lo stesso spirito, osservavano la stessa regola, vestivano lo stesso abito. Erano dirette dagli stessi Missionari e si aiutavano vicendevolmente nei ministeri della carità, scambiandosi i soggetti ed unendosi per aprire nuove case. Padre Giordana prima, e il Beato padre Durando (22 maggio 1801-1880) dopo, diressero i due Istituti.
Padre Durando, nominato il 22 maggio 1931 Superiore della Casa della Missione di Torino e Direttore delle Figlie della Carità in Italia, proseguì il processo di fusione delle due case e istituì un unico noviziato per entrambe sotto la direzione della Madre Verna. Esso fu creato nel 1831, e si scelse la sede di Rivarolo. Un tempo di prova, che aveva la parvenza di Noviziato esisteva anche prima a Montanaro, ma pare che la formazione vi fosse molto affrettata a causa della necessità di rispondere alle numerose domande di entrata.
Nel frattempo arrivarono richieste per la fondazione di nuove case a San Benigno Canavese nel 1830, ad Ivrea nel 1831, in servizio dell’ospedale, a Sommariva del Bosco, fondata nel 1832 dai Marchesi del luogo.
Fu proprio in occasione dell’apertura dell’ospedale di Sommariva del Bosco che Padre Durando consegnò alle suore che vi erano destinate il nuovo abito alla maniera francese, adottato dalle Figlie della Carità di Parigi dopo la rivoluzione.
Fu la prima volta che la famosa “cornette”, ossia il grande velo inamidato, fece la sua apparizione in Italia; ma indossarla era talmente complicato che le suore giunte a Sommariva del Bosco ci rinunciarono, e lo stesso Padre Durando disse che era meglio attendere l’arrivo di suore dalla Francia, le sole che avrebbero potuto insegnare la maniera di vestire il nuovo abito.
Padre Durando reputava che il mezzo più efficace per ottenere l’uniformità tra i due ritiri fosse rappresentato dalla presenza di suore francesi della Casa Madre, e pensò di realizzare l’apertura di una casa centrale e di un noviziato in Torino; riferì questa proposta al Visitatore Padre Castagna, ricevendone l’approvazione, e propose al re Carlo Alberto lo spostamento del Seminario di Rivarolo. Il re accolse le Figlie della Carità a Torino, e, in attesa di assegnare lui stesso uno stabile per la futura Casa Centrale, ne assicurò la fondazione con un assegno finanziario.
Il Padre Generale Etienne, rispondendo alle ripetute richieste di suore francesi per dare inizio alla Provincia e formare le suore italiane allo spirito e agli usi di Comunità, inviò il 16 maggio 1833 due Suore: suor Maddalena Langlois, in qualità di Visitatrice, e suor Marie Lafont, come Assistente.. Il 3 agosto dello stesso anno, ne arrivarono altre quattro: suor Felicita Pradie, suor Sophie Gerardi, suor Cécile Sievre e suor Lucie Besancel,. Vennero subito destinate all’Ospedale Militare per volere del re Carlo Alberto. Il 19 agosto 1833 arrivò anche suor Angela Sordet, come Direttrice del Seminario interno, accompagnata da suor Joséphine Gros anch’ella destinata all’Ospedale Militare. Suor Sordet venne coadiuvata da Suor Luigia Ghiringhello, giunta da Rivarolo con cinque novizie il 17 maggio precedente, quando il piccolo Noviziato si era trasferito da Rivarolo a Torino, nella Casa Vinai, di proprietà dei parenti in linea materna di padre Durando – sul corso detto allora “Viale del Re” o “Passeggiata dei platani” ora Corso Vittorio Emanuele II al numero civico 24. La casa aveva cortile e giardino.
Alle Novizie di Rivarolo se ne aggiunsero altre sei nuovamente entrate. Sul primo “Libro” del Seminario sono segnati i nominativi – trasmessi da suor Luigia Ghiringhello – delle prime 20 Sorelle che hanno preso l’Abito di Figlia della Carità a Rivarolo, dal 6 novembre 1830 al 1° agosto 1833.
La Provincia delle Figlie della Carità “del Piemonte” fu canonicamente eretta il 15 ottobre 1833 e la sua prima sede fu Casa Vinai. Il Superiore Generale costituì ufficialmente la prima Provincia italiana delle Figlie della Carità e nominò Direttore il P. Marcantonio Durando e Visitatrice Suor Maddalena Langlois. In poco più di tre anni si aprirono in Piemonte 7 case. Nel corso del 1833 si contarono quindici seminariste, quarantadue suore italiane e nove francesi che erano arrivate durante l’anno, per un totale di sessantasei suore, divise tra le case di Torino, Montanaro, Rivarolo, Ivrea, Sommariva del Bosco e San Benigno Canavese.
Nel 1834 il loro numero era arrivato a novantadue, e si poté iniziare a prestare l’opera nell’Ospedale di Carignano, in quello di Castellamonte, di Oneglia, nell’Ospedale Militare di Genova, oltre che l’istruzione dei fanciulli a Castellamonte e, l’anno successivo, a Oneglia. Dell’arrivo di Figlie della Carità dalla Francia ne scrive anche san Jean Gabriel Perboyre C.M. in una lettera da Parigi a suo zio a Montauban il 15 luglio 1834.
Nel 1835 a Torino scoppiò un’epidemia di colera e nove suore furono impegnate ad assistere gli afflitti dal terribile flagello.
Nel frattempo Padre Durando proseguiva nei suoi sforzi per raggiungere l’uniformità nel comportamento delle suore delle varie case.
La separazione delle suore di Rivarolo
Gli sforzi di Padre Durando per l’unificazione trovarono l’opposizione delle suore di Rivarolo, che non accolsero di buon grado la sostituzione dell’orario, conformato a quello delle suore francesi. Esse probabilmente ricevettero l’appoggio dei maggiorenti del paese e di alcuni sacerdoti, che non erano contenti dei cambiamenti delle Suore resi necessari dall’apertura delle nuove case e che temevano di perdere la propria influenza sulla Comunità. Il dissidio aumentò quando da Torino giunsero due suore francesi per insegnare a vestire l’abito regolare e la “cornette”.
Antonia Verna, quasi certamente su suggerimento di chi non voleva perdere la direzione del Ritiro, scrisse ai superiori, sottolineando che l’apertura di nuove opere impegnava talmente le suore, che quelle di Rivarolo, rimaste in poche, non riuscivano più a svolgere le mansioni promesse tempo prima all’amministrazione del Comune. Le fu risposto e, indirettamente, a chi la consigliava, che non spettava a lei fare valutazioni di questo genere. La situazione si fece più difficile. Alcune persone strumentalizzarono il Consiglio Comunale e pretesero da Antonia una presa di posizione in merito alla prosecuzione degli impegni assunti nei confronti della municipalità. Si giunse a rimuovere la Verna dal suo incarico, e a sostituirla con un’altra suora del Ritiro.
La reazione suggerita all’Amministrazione Comunale diventò una delibera del Consiglio da inviare al Ministro degli Interni; in essa si sottolineava l’indipendenza delle suore dai Padri delle Missioni, e l’indebita ingerenza di questi ultimi. Le stesse suore stesero un ricorso di contenuto simile, nel quale mettevano in evidenza come esse si fossero poste spontaneamente sotto la direzione dei Missionari, dichiarando di non avere riserve nell’ubbidire, ma di essere preoccupate per la sopravvenuta impossibilità di adempiere le promesse fatte all’Amministrazione Comunale.
Le suore fecero seguire a questo un secondo ricorso. Alla fine di un complesso procedimento, si giunse alla separazione delle suore di Rivarolo dalle Figlie della Carità.
Nell’Opera di Rivarolo, al momento del distacco, risiedevano ventisei suore, che furono invitate a decidere, in piena libertà, a quale ordine avrebbero desiderato far parte. Tredici di loro decisero di restare con le Figlie della Carità, le altre tredici ne uscirono, formando il nucleo primitivo delle Suore della Carità dell’Immacolata Concezione di Ivrea. Date queste premesse, si sarebbe detto che il nuovo ordine avrebbe avuto una vocazione esclusivamente locale, ma successivamente si sviluppò molto, giungendo a offrire la sua opera su tutto il territorio italiano, ed ora anche all’estero. Attualmente è presente in Svizzera, Turchia, Argentina, Stati Uniti d’America, Libano, Israele, Libia, Tanzania e Kenya.
Umiltà, semplicità e carità sono i tre germogli vitali che Madre Antonia ha ricevuto da san Vincenzo, legandole indissolubilmente al suo Istituto.
La separazione delle suore di Montanaro
La separazione delle suore di Rivarolo ebbe ripercussioni anche sul Ritiro di Montanaro, dove regnava il malcontento, all’incirca per gli stessi motivi e con l’appoggio di personaggi analoghi.
Nell’ottobre del 1835 l’epidemia di colera giunse a Montanaro, e il Consiglio Comunale, nel tentativo di far fronte all’emergenza, dispose che le Figlie di Carità si prodigassero maggiormente nella cura degli infermi di Montanaro, in ottemperanza alle Regie Patenti di creazione della Compagnia del 27 agosto 1779. In questa maniera il Consiglio fingeva di ignorare che successivamente le suore erano state aggregate alle Figlie della Carità francesi, e quindi poste sotto la giurisdizione del Superiore Generale e di quello locale della Missione di Torino.
A novembre furono le stesse suore a deliberare la separazione dalle Figlie della Carità, stabilendo i seguenti punti:
Nel 1837 Padre Durando si decise ad accettare lo stato di fatto, e dopo una delle sue ultime visite alle suore, scrisse una lettera con la quale faceva alcune raccomandazioni per la conservazione dello spirito religioso in previsione di un’eventuale separazione, che avvenne di fatto nel corso dello stesso anno.
L’amore è inventivo all’infinito
Dopo un periodo di incertezza che durò fino alla metà del 19° secolo, la Compagnia delle Figlie della Carità in Italia iniziò a fiorire, aumentarono le vocazioni e le suore si dedicarono attivamente e incessantemente all’opera di san Vincenzo De’ Paoli, il quale aveva detto, inconsapevole dello sviluppo formidabile che avrebbe avuto ciò che egli aveva creato: “L’amour est inventif jusqu’à l’infini”.